Articolo pubblicato il: 23 Aprile 2019

Autore: Luigi Cacciatori

La marijuana legale in Italia si può vendere

La marijuana legale in Italia si può vendere

La normativa sulla “Cannabis light” verrà rivista dalla cassazione per normare la commercializzazione

La marijuana legale come ormai tutti sanno, è l’infiorescenza di cannabis contenente un basso livello di THC (tetraidrocannabidiolo), il principio attivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana. Al contrario della marjuana illegale quella legale contiene un alta percentuale di CBD (cannabidiolo), principio attivo che ha tra gli effetti principali una sensazione di rilassatezza. Dal 2016 la coltivazione di marijuana legale è regolata dalla legge 242. Da allora sono nati in tutta Italia decine di negozi specializzati nella vendita di cannabis legale e di prodotti da essa derivati, che ormai si possono spesso trovare anche nelle classiche tabaccherie.

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Sequestri preventivi di Cannabis light

Durante la fine del 2018, ci furono una serie di sequestri di grosse quantità di marjuana legale in varie città di Italia: uno di questi fù andato in ricorso alla Cassazione. I sequestri erano stati eseguiti per analizzare la quantità di THC (<0,6%) nei prodotti venduti. In questo sequestro la polizia spiegò che i sequestri furono spinti dal Questore da poco arrivato a Macerata, dove inoltre ci fu anche la chiusura di una tabaccheria a Civitanova Marche che vendeva marijuana legale, la denuncia avvenne da parte di una donna che aveva scoperto la figlia detentrice di una confezione acquistata proprio in quella tabaccheria.

Successivamente al ricorso del negoziante (che ha vinto), la cassazione ha stabilito che se il commerciante è in grado di documentare che la cannabis legale proviene da coltivazioni che rispettano la legge del 2016, la polizia non può procedere con sequestri preventivi, a meno che non ci siano dei sospetti fondati. Può soltanto prelevare dei campioni per verificare che il contenuto di THC non superi lo 0,6%, il limite entro il quale la cannabis è regolata dalla legge del 2016 e non dalla 309/1990, cioè la legge Vassalli che regola le sostanze stupefacenti dopo l’abolizione della Fini-Giovanardi.

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Le decisioni della Corte Suprema di Cassazione

All’interno della Suprema Corte di Cassazione si possono ad oggi rinvenire tre distinti orientamenti che pare opportuno qui sintetizzare per ragioni di chiarezza:

  1. Cass. Sez. VI, 27 novembre 2018 (ud.) – 17 dicembre 2018 (dep.), n. 56737: La legge 2 dicembre 2016, n. 242, che stabilisce la liceità della coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, non si riferisce anche alla commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione – costituiti dalle inflorescenze (Marijuana) e dalla resina (Hashish) – e, pertanto, le condotte di detenzione illecita e cessione di tali derivati continuano ad essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile;
  2. Cass. Sez. VI, 29 novembre 2018 (ud.) – 31 dicembre 2019 (dep.), n. 4920: Dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L., alla stregua della legge 2 dicembre 2016, n. 242, discende, quale corollario logico-giuridico, la liceità della commercializzazione al dettaglio dei relativi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0.6 %, che pertanto non possono più essere considerati sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto D.P.R.;
  3. Cass. Sez. III, 7 dicembre 2018 (ud.) – 15 febbraio 2019 (dep.), n. 7166: E’ consentita la commercializzazione dei prodotti della coltivazione della canapa in presenza dei seguenti tre requisiti: 1) deve trattarsi di una delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo europeo delle varietà delle specie di piante agricole, che si caratterizzano per il basso dosaggio di THC; 2) la percentuale di THC presente nella canapa non deve essere superiore allo 0,2%; 3) la coltivazione deve essere finalizzata alla realizzazione dei prodotti espressamente e tassativamente indicati nell’art. 2, comma 2, l. n. 242 del 2016, fermo restando che, per la sussistenza del reato di cui all’art. 73, comma 4 del D.P.R. 309/1990, occorre verificare l’idoneità della percentuale di THC a produrre un effetto drogante rilevabile.

Per queste evidenti ragioni, l’attuale quadro giurisprudenziale non sembra oggi in grado di definire con chiarezza la piena liceità di questa attività.

Il dubbio che resta ancora aperto è la questione riguardante l’ indicazione della soglia al di sopra della quale, la marijuana legale potrà essere individuata come sostanza stupefacente: sotto lo 0,2% o lo 0,6%?
Oppure il limite dello 0,5%, in ossequio alla giurisprudenza sviluppata sulla scorta del D.P.R. 309/1990, nonostante Cass. 4920/2019 abbia considerato la l. 242/2016 un microsettore normativo autonomo avente carattere derogatorio rispetto al D.P.R. 309/1990?

Con le attuali incertezze quindi, è opportuno un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite, le quali sono state di recente investite della questione dalla Quarta sezione.

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